domenica 29 aprile 2012

Baita Fai da Te n. 7: il fuoco!

Tre mesi! Sono trascorsi esattamente tre mesi dall'ultimo suggerimento per il fai da te di Sem Paton.
Pensate, in questi 90 giorni il mondo è cambiato: Monti ha brevettato 10 nuove tasse, Bossi ha cercato di sembrare onesto, Sarkozy ha perso le elezioni e tutti siamo seriamente preoccupati che sua moglie torni a cantare.
Torneremo australopitechi?
Tutto ciò non fa che rafforzare il pessimismo cosmico di Sem Paton: per lui questi sono segni della fine del mondo incombente. Voce che grida nel deserto, ha deciso di confidare a Baite nell'Oceano come sopravviverà all'Armageddon: si creerà il fuoco da solo! 
E' lui l'australopiteco del 2012, seguiamolo mentre ci conduce passo passo.


L'ESCA

L'esca è di primaria importanza per l'avviamento del fuoco e per fare presa deve essere asciutta, soffice e morbida e possibilmente secca.

No! Non questa esca!

Per l'esca si possono usare: muschi, licheni, schegge di corteccia, foglie secche, peluria di fiori tipo cardi, erba secca, graminacee, pannocchie selvatiche, sterco secco di erbivori, midollo di piante come sambuco.
Resina di pigne e di tronchi di pino sono degli ottimi combustibili, così come l'olio resinoso della betulla.
Una volta accesso un fuoco si possono preparare delle esche per le future accensioni, bruciando parti di piante midollose o fibrose, legno secco e sterco. Si lasciano carbonizzare sul fuoco e poi si conservano in un luogo asciutto.
 In genere quando si parla di esca si pensa al classico pezzo di carta, o al ciuffo di erba secca. Queste sono esche che vanno più che bene in condizioni standard, e quindi con poco vento, legna ben secca, poca umidità. Sono anche esche che si possono trovare in zona, esche naturali. Nei boschi ci sono un sacco di cose buone allo scopo, basta solo guardarsi attorno.
Anche in condizioni non proprio ottimali è quasi sempre possibile trovare un'esca adatta. Ricordiamoci che per esempio il legno secco ma ancora sull'albero, e quindi che non ha assorbito l'umidità del suolo, anche se fuori è bagnato di pioggia dentro sarà comunque asciutto. Possiamo togliere la corteccia e con il coltello raschiarlo per ottenere una serie di trucioli, o riccioli di legno asciutti, ottimi come esca. La corteccia della betulla, albero che si trova spesso nei nostri boschi, è piena di olii, le pellicine che si formano sulla superficie, staccate e sminuzzate, si accendono alla minima scintilla e bruciano anche con il vento, a lungo. La resina dei pini, raschiata via e messa su un pezzo di corteccia, è un'ottima esca che brucia a lungo. Sotto i sassi grossi spesso si trova materiale asciutto. 
AVETE UNA LENTE?
Se il sole è caldo si può sfruttare la potenza dei suoi raggi utilizzando una lente.
Si può utilizzare una lente di ingrandimento di diametro di circa 3cm., una lente degli occhiali da vista, la lente di un quadrante dell'orologio, l'obiettivo di una macchina fotografica, il fondo di una bottiglia o qualsiasi altro oggetto di vetro che possa concentrare i raggi solari. Accendere il fuoco con questo metodo richiede pazienza e mano ferma, il tempo che ci vuole per accenderlo dipende: dalla zona in cui ci si trova (in una zona equatoriale si farà molto in fretta), dalla potenza dei raggi e anche dal tempo atmosferico.
L'ARCHETTO
Il principio dell'archetto si base sulla frizione, cioè sullo sfregamento tra due parti tra cui è presente attrito.

E' un metodo di accensione antichissimo e richiede pazienza, tempo e fatica.
Prendere un ramo verde (flessibile ma resistente) lungo almeno 50 cm e legate alle due estremità una corda, un laccio o una cinghia non tanto tesa, in modo da creare un arco.
Avvolgete la corda intorno ad un bastone di circa 30 cm con un diametro di 2cm (non resinoso) il più secco e duro possibile. Il bastone fungerà da trapano, create quindi una punta a una delle estremità.
Per non ferirvi la mano e per fare pressione sul bastone coprite la punta superiore con un legno duro o una pietra convessa o una conchiglia o un guscio.
Ora, preparare una tavoletta di legno secco spessa almeno 1 cm, che fungerà da base.
Non utilizzate mai legno resinoso come il pino ma orientatevi a legna come il salice, il pioppo...
Sul lato più largo della tavoletta scavate nella parte superiore un buco poco profondo (ad almeno 1 cm dal bordo), mentre nella parte inferiore corrispondente al buco fate una scanalatura a forma di V rovesciata, che servirà a raccogliere la polvere prodotta dallo sfregamento dell'archetto con la tavola.
Proprio in questa polvere nerastra prodotta, si formerà la scintilla.
INFORMAZIONI UTILI:
Tanti fuochi piccoli emanano più calore di uno solo grande. Un fuoco grande è anche più difficile da alimentare e da controllare.
Le pietre troppo morbide, bagnate, porose o che contengono umidità se messe sul fuoco possono esplodere causando ferite anche mortali.
Per accendere un fuoco scegliere un posto riparato dal vento per non disperdere il calore e per farlo durare di più, ad esempio a ridosso di una parete.
Si ricorda che le braci riscaldano di più della fiamma e sono ottime per arrostire, mentre la fiamma viva è più utile per bollire e cuocere.
LA LEGNA UMIDA produce fumo e può essere utilizzata per tenere lontani fastidiosi insetti.
LA LEGNA VERDE brucia lentamente.
LA LEGNA SECCA prende fuoco più facilmente e produce una fiamma nitida e forte.
IL LEGNO TENERO fa più luce del LEGNO DURO.
alessandro.giuriani@gmail.com
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S'i fossi foco arderei 'l mondo (Cecco Angiolieri)

domenica 22 aprile 2012

Libertà e materassi: il dilemma delle reti commerciali

La libertà è dura gestirsela. E per di più quando ce l'hai, non sai cosa fartene. E' la tesi - paradossale di questi tempi - di un affascinante romanzo di Jonathan Franzen intitolato appunto Libertà.
I suoi personaggi - padre, madre e figlio e amico musicista - riescono ad ottenere uno spazio pressoché illimitato da legami familiari, vincoli economici e persino convenzioni sociali.
Dopo averci sguazzato, ognuno di loro ritorna spontaneamente agli stessi comportamenti di prima, pur non essendoci per nulla costretto.
Un po' come se essere liberi sia semplicemente un'altra strada per approdare alla medesima realtà dalla quale ci sentiamo soffocati.
Esiste un'applicazione reale di tutto questo nel commercio.


Un'azienda impone alla sua rete di affiliati un prezzo fisso a cui vendere sul mercato un determinato bene. Per comodità diciamo un materasso.
I commercianti affiliati si lagnano che, se lasciati liberi di decidere il prezzo, saprebbero mettere sul mercato le stesse quantità di quel materasso ricavando un maggior guadagno.
A quanto li vendi?
La motivazione è la seguente: ogni singola trattativa risulterebbe più redditizia se ci fosse libertà di contrattazione sull'importo del materasso da vendere al cliente.
Un giorno l'amministratore delegato dell'azienda cede alla sua rete di affiliati uno stock di materassi e li lascia completamente liberi di venderli al prezzo che vogliono.
Ciò che accade in seguito ha dell'incredibile: la rete di affiliati mette sul mercato questi materassi praticamente al medesimo prezzo di prima!
Cosa è successo? Una cosa semplicissima. Ogni commerciante ha paura di essere più caro del vicino, si informa sui prezzi che questi pratica e vi si adegua. Alla fine ne risulta un valore uniforme per ognuno dei materassi dello stock.
Liberi liberi siamo noi, sì ma liberi da che cosa? Cantava Vasco.
In economia questa canzone si chiama concorrenza perfetta


alessandro.giuriani@gmail.com
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La concorrenza è la vita del commercio e la morte del commerciante.
(Elbert Hubbard - scrittore)















venerdì 13 aprile 2012

Baita del running n. 9: I ruttini di Pasquetta e il sindaco anoressico


Mia colpa, mia gravissima colpa.
E’ il mantra recitato dai 1.100 runners della 14° edizione della Cormorana, gara tradizionale con partenza e arrivo al Parco del Cormor di Udine.
I pranzi consumati per la Pasqua del giorno prima fanno sentire ancora le loro conseguenze: gli sguardi colpevoli degli atleti e i ruttini appena nascosti la dicono lunga sull’atmosfera che pervade la zona di partenza. Bisogno di espiare.
I percorsi sono tre: 7km, 12Km e 21Km: si decide per quello intermedio per non affaticare troppo le gambe in vista della maratona di Rotterdam domenica prossima.
Le sorprese iniziano dopo il giro del parco da 1,6km: si inizia a costeggiare il torrente Cormor e per un paio di km si procede in fila indiana su un sentiero strettissimo. 
Due marciatori-passeggiatori fanno da tappo là davanti, ma chi se ne importa: camminare veloce non è poi così male se hai da digerire (in ordine cronologico inverso) un paio di colombe, un vitello tonnato, uova al prezzemolo lasagne e risotto. Anzi, è dura ripartire!
Espiate peccatori!
I diabolici organizzatori sanno che oggi siamo deboli e indifesi, così organizzano al 5°Km la penitenza del runner peccatore: discesa con guado nel torrente seguita da una terribile scalinata che porta fino alla collina di Castellerio.
In cima il ristoro, finalmente. Stravolti dalla fatica si scambia una Coca Cola per un the caldo: ultimi ruttini, però finalmente anche gli spiedini agli spinaci se sono andati.
Da lì in poi si scende e la gara procede paciosa quasi tutta su asfalto fino al traguardo.
Tutto finito? Assolutamente no, all’arrivo c’è il sindaco di Udine
Dove è finito il glorioso doppio mento?
La solita bieca manovra elettorale? Il primo cittadino si mostra al parco nel giorno di Pasquetta e magari affetta anche un po’ di mortadella? Salumi e vino per tutti in cambio di un voto?
Eh no. Il poveretto pare dimagrito quasi deperito. La mandibola fuori asse, la barbetta ispida, assomiglia a un satiro. La tuta bianca dell’Università di Udine della quale era rettore gli cade come un lenzuolo di fantasma. Dove è finita quella bella pancia a barilotto che tanta allegria infondeva agli udinesi? Fonti bene informate riferiscono di averlo visto correre di buon passo nella gara da 7Km.
Ci mancava solo il sindaco runner, ora dobbiamo davvero espiare.

alessandro.giuriani@gmail.com
Fu una notazione matematica così ingombrante (i numeri romani) a non fare dei romani degli eccellenti matematici. Si potrebbe controbattere che furono comnque degli ottimi ingegneri. "Per l'appunto!", risponderebbero molti matematici.
(Furio Honsell - sindaco di Udine. Tratto dal suo libro "L'algoritmo del parcheggio")

martedì 10 aprile 2012

Baita Fai da Te n. 6: conserva il burro senza frigo!

99 anni fa l'Ingegner Ghersi uscì con la quinta edizione del suo Ricettario domestico edito da Hoepli, un incredibile prontuario su tutto ciò che poteva essere utile nella conduzione di una casa.
99 anni dopo, nel 2012, il professor Latucci decide di mettere in pratica le teorie del suo quasi omonimo professor Latouche di Parigi sulla decrescita serena. 
Latucci si ritira in una baita in collina e stabilisce di vivere seguendo i principi di rivalutare, ridurre e riutilizzare. Il Ricettario domestico vecchio di un secolo sarà il suo manuale per risolvere le problematiche che ogni giorno gli si presentano.
Ieri il malgaro che pascola le mucche gli ha portato per Pasqua un chilo di burro candido e fresco. Come fare per conservarlo? Latucci non intende usare diavolerie moderne come frigorifero o congelatore, ma nemmeno lasciare che il burro fragrante divenga rancido.
99 anni fa il Ghersi raccomandava di fare così:


Si dispone il burro preparato di recente e ben asciugato in vasi di maiolica, comprimendolo a  mano in modo che non restino spazi vuoti. 
Si mettono questi vasi a bagnomaria, facendo attenzione che l'acqua non penetri, e si fa fondere il burro. 

Si leva la pentola dal fuoco e quando l'acqua è fredda si ritirano i vasi. Così preparato il burro può conservarsi sei mesi freschissimo, poiché l'inacidamento è prodotto dal siero, che con detta operazione si raccoglie in fondo ai vasi anziché rimanere diffuso nella massa del burro. Naturalmente il burro deve essere tolto dai vasi, separato dal siero, asciugato e riposto in luogo fresco.

alessandro.giuriani@gmail.com
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La teoria è quando si sa tutto e non funziona niente;
la pratica è quando tutto funziona e nessuno sa perché.
Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c'è niente che funzioni e nessuno sa perché!
(Albert Einstein)




sabato 7 aprile 2012

Lo stivaletto dove lo metto

Ma chi progetta le scarpiere? Un tecnocrate sovietico? Un architetto di pollai? Un designer di caselli autostradali?
Ma chi le pensa?
Senza eccezioni, indistintamente, tutti gli armadietti per calzature sono costituiti da cassetti identici che si aprono a compasso verso l'alto.
In una classifica di prodotti concepiti senza pensare all'utilizzatore finale, la scarpiera si posiziona dietro soltanto agli esperimenti in cucina di mia mamma.
Benedetti designer, ma basterebbe osservare un qualunque negozio di scarpe femminili! C'è una biodiversità di generi da fare invidia ai rettili delle Galapagos.
Tacchi bassi, a spillo, zeppe, sandali, infradito, perfino stivali! E la scarpiera? Tristemente standard. Quattro modesti cassetti tutti uguali che dovrebbero ospitare questo rigoglio di calzature.
Senza riuscirci. I sandali scivolano via sul retro dell'armadietto. Gli stivali si devono piegare come salici piangenti per stare nello spazio angusto.
Non credo occorra una laurea in ingegneria edile per progettare finalmente una scarpiera funzionale. E' sufficiente che abbia due caratteristiche:
1) scomparti più alti a misura di stivali da donna;
2) scomparti bassi, larghi e chiusi sul fondo per riporre sandali estivi e pantofole.
Se poi vi sentite su di giri, potreste anche realizzare scomparti scorrevoli per adattarsi alle tipologie di calzature diverse.
Forza ingegneri, progettate e ricordate l'aforisma dello storico Newbury: Sex and the City è così popolare perchè in realtà è Shoes in the City.


alessandro.giuriani@gmail.com