venerdì 2 dicembre 2011

Bellimbusta Paga

La bellimbusta 




Altro che Internet, cito direttamente dal Dizionario Sinonimi del Cinti. edizione 1979:


Bellimbusto, sm. zerbinotto - ganimede - vagheggino - elegantone


Sfoderate i coltelli, pronti ad attaccare! 
Sto per servirmi di questi aggettivi per screditare la divinità che ogni 27 del mese si manifesta a noi lavoratori: la busta paga. Meglio: la bellimbusta paga.
Tronfia, leziosa e deprimente come Sandra Milo in bikini. 


Capitolo primo: le venerande origini
Essa nasce e si diffonde con lo stesso principio della produzione di massa.
Se un uomo gira una vite in 30 secondi, girerà 120 viti in un'ora e 960 in una giornata lavorativa di otto ore.
La sua opera, incastrata con quella di altri, permetterà di produrre un certo numero di pezzi finiti tutti identici ogni giorno.
La sua retribuzione sarà semplicemente un costo di produzione calcolato in modo che i margini per l'azienda sui prodotti finiti restino accettabili.
La busta paga è la pergamena ufficiale su cui è annotato tale passaggio di denaro dall'impresa al lavoratore.
E' stata una rivoluzione: ha garantito un corrispettivo certo al lavoro e ha permesso di pianificare un futuro basato sulla ricerca della realizzazione personale.
Ma ha scardinato qualcos'altro.


Capitolo secondo: il nobile caos prima delle origini
Cari amanti dello stipendio fisso al 27, delle rate al 10 e dell'aliquota al 39: vi immaginate come doveva essere il mondo prima dei bonifici bancari?
Quando la società era prevalentemente agricola, si lavorava in base ai bisogni ed ai ritmi della terra. Capitava così in estate di avere giornate massacranti da 14-16 ore. 
D'inverno, terminato il raccolto, ci si sollazzava (si fa per dire) in divertentissime giornate brevi, chiusi in casa ad eseguire compiti di manutenzione.
Il contadino era succube di variabili su cui non poteva avere alcun controllo: prime su tutto le condizioni atmosferiche. Ma anche malattie, battaglie, governi.
Da qui i rituali, i proverbi, le usanze identiche tramandate per generazioni: erano tentativi di porre delle regole e dare certezze là dove non ne esistevano.
Di tutto questo patrimonio oggi ci è rimasto il calendario di Frate Indovino appeso sopra ai fornelli. E qualche noiosissima rima sul meteo nei vari mesi dell'anno: aprile non ti scoprire, maggio vai adagio, ecc.


Capitolo terzo: non è tempo per noi (che non ci adeguiamo mai)
Eh sì, gioiamo pure della bellimbusta paga. Ma non ci contiamo troppo, è finta come una vecchia pin-up anni 50.
Guardiamoci intorno: la giornata di otto ore non esiste più.
L'industria e l'enorme manodopera operaia stanno inesorabilmente scomparendo nei nostri paesi.
Non ha senso stare otto ore in ufficio quando PC portatile e cellulare fanno anche di un tavolo di Starbucks la nostra postazione di lavoro.
Può capitare una giornata scarica e un'altra da quindici ore. 
Sta cambiando la percezione del tempo libero: una volta era garantito dopo le 17,30. Oggi è un regalo inaspettato alle 11 del mattino e magari sarà impossibile averne ancora prima delle 9 di sera.
Di nuovo siamo succubi di eventi esterni incontrollabili.
Dobbiamo essere flessibili, pronti ad adeguarci e ad approfittarne. Altrimenti? Sofferenza, frustrazione e stridore di denti.
A pensarci bene, tutto questo non ci ricorda nulla? Ma sì. Campagna. Contadini. Epoca pre-industriale.
Quanti proverbi ed espressioni in gergo aziendale hanno la stessa base dei detti rurali: la ricerca disperata di certezze dove non esistono.


Capitolo quarto: il lancio della fialetta puzzolente
Molliamo la busta paga così come è fatta adesso. Fa ridere persino Monti, che pure non mi sembra un allegrone.
Otto ore. Straordinari. Superminimo. Permessi.
Ma a chi la raccontiamo?
Facciamo ciò che ci viene chiesto, veniamo valutati secondo i risultati e ciò che conta veramente è la qualità di quello che eseguiamo.
Le idee, la novità, l'impulso e la coscienziosità. Questo è il nostro valore.
Non 960 viti al giorno.
E allora via dalla busta paga le voci inutili da vetero-sindacalismo, via gli obblighi da paleo-capitalismo. Dimmi solo quant'è per ciò che ti do.
Cosa diavolo voglio? Un compito, la gestione del mio tempo e una retribuzione.
Semplice e senza formalità ipocrite.
Tu azienda mi chiedi un risultato fattibile. Io lo raggiungo. Tu mi paghi. Sarò io che decido come suddividere le mie ore.
La gestione dei tempi è mia: io sono un agricoltore e tu sei la mia terra.
Otto ore tutte uguali al giorno daranno frutti scarsi. 
Se uso la mia iniziativa da contadino post-industriale prometto un raccolto fantastico.
Grandine permettendo, naturalmente.


Quando l’oste è sull’uscio, l’osteria è vuota.
                                       Proverbio toscano


alessandro.giuriani@gmail.com


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1 commento:

  1. Complimenti per l'affascinante analisi. Tuttavia la questione non e' come rendere le aziende piu' produttive grazie alla flessibilita' tempo impiegato, ma come indurre l'elemento esogeno ( stato, ..........) riconosca un effetto contributivo premiale ed incentivante alle aziende virtuose. La gestione del tempo secondo processi e metodi e' fondamentale per raggiungere un obiettivo atteso, altrimenti sarebbe impossibile realizzare una programmazione.

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