domenica 16 ottobre 2011

Recensfera

Ieri ho terminato di leggere un libro per il quale non finirò mai di ringraziare la mia magica bibliotecaria Antonietta.
Lei sta ai libri come Gattuso sta al calcio: entrambi con i pochi ingredienti che hanno in mano ti inventano sempre la giocata da applausi.
Non importa se la biblioteca dove lavora Antonietta è una succursale di periferia con pochi scaffali: lei conosce i suoi libri uno per uno, ti parla per 5 minuti e poi con decisione ti consiglia il volume da prendere in prestito.
Se fosse vissuta un secolo fa nella Vienna di Freud e Jung, a loro due sarebbero toccati i test di Sorrisi e Canzoni e a lei i cervelli dei nobili nevrotici.


Ma torniamo al libro che ho terminato: è di un autore finlandese, tale Arto Paasilinna (non è un mobile dell'Ikea, si chiama proprio così). 
Scritto nel 1988 è stato tradotto nel 2003 dalla casa editrice Iperborea. Cosa può significare questa doppia datazione? Beh, se non altro che il racconto era ancora così vivace e attuale che 15 anni dopo meritava il costo di un traduttore e della pubblicazione.
Brava Antonietta, brava l'intraprendente Iperborea, bravo Paasilinna, mi sono goduto tutto il libro dalla pagina 1 alla pagina 198 dove campeggiava la parola "FINE".


Per sbaglio ho girato però alla pag. 199. Orrore, cigolìo di ossa, puzza di zolfo.
C'era una recensione del romanzo appena concluso.
E siccome ognuno di noi desidera sempre toccare il fondo dell'abisso, me la sono letta.
Non so perchè l'abbia fatto, odio le recensioni, ma ho commesso peccato e l'ho letta.
L'effetto sull'atmosfera del libro è stato come un brontolìo di stomaco durante un concerto di Mozart: entrambi sono insieme di suoni, ma un apparato digerente che gorgoglia rovina irrimediabilmente la sinfonìa.
E così è per le recensioni: sono parole scritte esattamente come il libro che commentano, però emettono rumori molesti anche quando lo lodano. E radono tutto al suolo.


Basta, aboliamo le recensioni. Sono espressione meschina dell'ego di chi legge, il quale trae dal libro un'occasione per avere visibilità.
Non sono d'aiuto a nessuno, non servono a nulla: non mi interessa conoscere cosa pensa lo studioso calvo con il papillon. E me ne impippo del quarto di copertina dove il responsabile marketing della casa editrice mi declama il romanzo come un venditore di grattugie alla sagra di paese. Voglio leggere e farmi un'idea da solo.


Qui ci vuole un'idea. Bisogna aiutare chi proprio non riesce a rinunciare ad un commento su un romanzo. Lanciamogli un salvagente, ma sì: chissà che una volta ripescato non diventi buono.
Che ne dite di passare alla recensfera? Non è un'ambientazione di un film di fantascienza ma l'unione dei due termini "recensione" e "atmosfera".
Intendo questo: niente commenti, tentativi di spiegazione, paroloni inutili su un libro che va solo e comunque letto. 
Ma un consiglio sull'atmosfera che può accompagnare e valorizzare la mia lettura, questo sì forse sarebbe utile.
Avete mai notato come varia il nostro piacere di lettura in base a dove ci troviamo? Ci sono libri che sono fantastici a letto, ma insipidi in giardino con il sole. Romanzi da divano con luce calda, racconti che danno i brividi durante una cena di lavoro solitaria in hotel. Addirittura mi ricordo di un libro di Ken Follett perfetto per il mio volo Washington-Seattle. 
Si intitolava "Un luogo chiamato libertà", narrava dell'epopea della frontiera americana e la vicenda si snodava mentre l'aereo andava verso ovest. Sembrava di viverlo in quel momento.


Allo studioso calvo e al critico barbudo chiedo: risparmiatemi le vostre interpretazioni sociali del testo, amputate le vostre dotte opinioni sul racconto, ma consigliatemi con quale atmosfera me lo godrò di più.
Beh, sempre che lo abbiate letto davvero si intende.

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