Io confesso, mea maxima culpa.
Amo la musica country americana.
Non è ricercata, non è esotica e non conosce derive di tendenza.
Mi piace inserirla fra altri pezzi iper-elaborati che popolano il mio Ipod, non diversamente da un carnoso hamburger in mezzo ad algidi sashimi.
Il country racconta di persone semplici che compiono gesti ordinari e che provano le emozioni di ognuno: amore, delusione, lavoro duro.
In quelle canzoni non si sperimentano liriche raffinate, si raccontano storie di tutti i giorni.
Nel 1980 la burrosa cantante country Dolly Parton fu conosciuta anche da noi in Europa per un brano che parlava della tipica giornata di lavoro, intitolato “9 to 5”, ovvero “dalle 9 alle 5”.
Ecco il video: http://www.youtube.com/watch?v=mpKAA2VxWY8
Si parla delle famose otto ore lavorative, anche se non è chiaro quando la vistosa Dolly pianificasse la pausa pranzo. Probabilmente un milk-shake fosforescente trangugiato dietro la scrivania senza neanche alzare gli occhi dagli statini delle partite doppie.
Trent’anni dopo, nel 2011, la platinata cantante potrebbe regalarci il sequel di questa canzone. Personalmente, oltre ad una pettinatura diversa, le proporrei un titolo nuovo: “9 to 9”, “dalle 9 alle 9” orario continuato.
Eh sì cara Dolly, con la rivoluzione muta degli ultimi anni le otto ore consecutive sono sempre più rare. Niente milk-shake fosforescente i ufficio, niente tempi definiti a priori, niente spesa di ritorno a casa.
Sta scomparendo la distinzione geografica fra tempo di lavoro trascorso in azienda e tempo libero trascorso fuori.
E’ sempre più labile la differenza antropologica fra persona al lavoro e persona nel tempo libero.
Sono due dimensioni che si intrecciano, come i capelli rossi di Pippi Calzelunghe.
L’ufficio inteso come luogo di lavoro spesso è sostituito dal soggiorno di casa con connessione Wi-Fi. Spesso si va in vacanza con il PC e si controllano le e-mail di lavoro al mare.
Succede così di andare in palestra nel primo pomeriggio del martedì e di inviare un’offerta importante verso mezzanotte.
Di vedere il sottoscritto chiudere un budget dentro alla Cattedrale di Siviglia.
Tempi annodati, tempi ibridi: tutti ce ne siamo accorti eccetto chi fabbrica le nostre agende di lavoro.
Ma le avete viste? Sono delle pergamene archeologiche, stanno alla nostra vita professionale come il calendario di Frate Indovino alla NASA.
Nelle prime pagine troviamo ancora i prefissi telefonici, i fusi orari e nei casi più estremi addirittura le festività nazionali.
Ogni giorno dal lunedì al venerdì vale una pagina, mentre sabato e domenica ne occupano metà ciascuno, a simboleggiare tempi di svago.
Peccato che l’anno scorso io abbia lavorato 20 dei 52 week-end a disposizione, riposando durante la settimana mai in un giorno fisso, ma in base ai carichi di lavoro.
Cari ideatori di organizer, catalogatori di calendari perpetui, costruitemi un’agenda origami. Dove io possa piegare le ore di ogni giorno per come davvero le uso, in cui possa crearmi una notte di lavoro e liberarmi di un giovedì mattina. Dove non ci sia mai una settimana uguale all’altra e succedano domeniche più pesanti dei lunedì.
Dove alla fine del mese i fogli di ogni giorno siano così diversi da creare un origami a forma di pterodattilo.
Come dite? Se le agende non ti piacciono puoi passare al Blackberry? E chi mi saprà più dare allora il prefisso di Isernia in prima pagina?
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